Jimmy

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giovedì 4 maggio 2017

PEEL Gianmaria Milani, Giacomo Montanelli e Davide Regoli In concomitanza di FOTOGRAFIA EUROPEA

PEEL 


Gianmaria Milani, Giacomo Montanelli e Davide Regoli
PALAZZO SABBADINO
Via Emilia a San Pietro, 22, 42121 Reggio nell'Emilia
5-6-7 maggio 2017

In concomitanza di FOTOGRAFIA EUROPEA 



 
PEEL
Gianmaria Milani, Giacomo Montanelli e Davide Regoli sono tre giovani che aiutano la realtà ad essere scoperta, senza mai forzarla. Come ogni vate, come ogni artista che si rispetti, il loro messaggio parla di verità ultima delle cose, filtrata o opacizzata, dolcemente nascosta nelle inquadrature di foto transgeniche, mutate. PEEL, loro progetto comune, inevitabilmente rimanda alla lentezza della scoperta, che si muove piano dall’immobilismo del fermo immagine: il titolo è per il nostro orecchio un inevitabile rimando alla copertina oscenamente pop firmata da Andy Warhol dell’album che porta il nome del gruppo The Velvet Underground, e al monito ammiccante suggerito dalla semplice immagine di una banana: “Peel slowly and see”. L’invito, seppur con intenzioni differenti, è ripetuto nell’imperativo “peel”, letteralmente “sbucciare”, e quindi discernere per svelare, scegliere e via via eliminare ogni elemento dal campo visivo per una lettura pura e pulita, nuova o inedita dell’immagine, che possieda i contorni definiti della verità. le nuvole colorate in feltro di Gianmaria Milani fluttuano sul cielo immortale di una foto, quasi volessero liberarsi e staccarsi da una dimensione ma al contempo abbellirla, nell’infinito dialogo muto tra il moto e la staticità, tra l’allora e l’adesso, come il gioco utopico di rette parallele che si rincorrono. La stasi e il movimento si ritrovano con medesima intensità nell’opera Snake, sovrapposizione di paesaggi come dorso di un serpente che cammina verso un bosco immobile, luogo sicuro dove le innumerevoli metamorfosi della Terra per mano dell’uomo idealmente ritrovano uno stabile appiglio. Giacomo Montanelli interviene su una memoria non sua, quella del padre che negli anni ’80 scattò alcune foto, elogio ad un’inutilità che diviene importante nella possibilità di esser dimenticata, quindi contornata, coperta e ricoperta o nascosta dalle forme della pittura che divengono segni indelebili, nuovi, concettualmente bidimensionali nel tempo e nella memoria, perfetta fusione tra passato e presente che segue lo schema gerarchico familiare: “Lavorare sulla fotografia come ho fatto in questo caso significa agire nello spazio non solo fisico ma sensibile, si creano due dimensioni…una superficiale della materia del colore, la pelle delle cose; una luccicante nel vero senso della parola poiché sono fotografie e hanno dei valori che scavano oltre le apparenze. Una è la mia dimensione che mi annoto con la pittura per la paura di potermi scordare anche io ciò che mi appartiene, l'altra è la dimensione di una persona che non si ricorda più”, dichiara l’artista. Figlie del digitale, le ricercate superfici camouflage di Davide Regoli sono accomunate da un substrato comune, riportato alla luce e dunque visibile soltanto dopo il deterioramento del file stesso: ne deriva un raffinato intento “archeologico” attraverso il quale la dimensione del “prima” incontra e supporta quella del “dopo”.

                                                                                                                                                           Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci